Storia e Territorio

La vendita del pollame e della carne

autore Angelo Cintoli 04 November 2021
Galline e uova

Gli animali da cortile

Un tempo il consumo della carne era limitato in gran parte a quella "bianca", fornita da polli e galline, allevati per lo più " 'nto scupièrtu" o " 'nte càgghi", tenute di solito sulla "ciappetta" di casa o, addirittura, ai lati della porta d'ingresso, proprio sulla strada. Lo stesso avveniva per i conigli.

Tuttavia, c'era sempre chi, di questo allevamento casalingo, ne faceva oggetto di commercio: senza dire che - oltre a vendere polli ed uova - gli "uvàri" di tanto in tanto facevano "correre" la voce che avrebbero presto "ammazzato" l'agnello o il maiale. Ne prendevano anche le ordinanze facendo poi le consegne nel giorno fissato e al prezzo pattuito.

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Gli " uccièri"

Come categoria a sé - esercitante cioè un piccolo commercio con l'apertura di un locale indipendente dalla casa di abitazione - gli "uccièri" fecero la loro apparizione in un secondo tempo. Non c'era tuttavia molta richiesta di carne e le loro putìe rimanevano aperte solo per pochi giorni visto che, da sempre, la popolazione considerava il pesce come suo alimento principale.

Fra l'altro, per molti, la carne era considerata ancora un lusso, un cibo da signori o per ammalati: in realtà, veniva acquistata una-due volte alla settimana, motivo per cui inizialmente i macellai restavano aperti soltanto dal venerdì - giorno della macellazione - fino a mezzogiorno della domenica successiva. Considerando poi che il venerdì era giorno di "vigilia" - allora molto sentito da tutti - non restava che ripiegare su "i còsi i rìntra", come se non si trattasse lo stesso di carne, a ciò invogliati senza dubbio dal basso costo.

Il sabato e la domenica era possibile invece scegliere fra "càrni 'i bruòru", "càrni nètta" e "càrni ri sacùnna", quest'ultima cucinata "a stufatièddu": negli altri giorni, l'apertura delle putìe dipendeva comunque dalla disponibilità di carne invenduta in precedenza.

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"Sancièli" e "sausìzza"

Nel periodo invernale abbondava invece " 'a carni 'i puòrcu", con preferenza "ppè cuòsti" e "ppò sancièli", allora molto richiesto: dopo la cottura, gli "uccièri" provvedevano ad appenderlo "ntè cruòcchi" di ferro che si trovavano all'esterno, badando soprattutto ad esporlo bene, se non altro per solleticare " 'u pitìttu" dei buongustai, dei quali usavano richiamare l'attenzione con l'urlo possente di "sancièli ri puòrcu! Ri puòrcu è! Càuru è!". Bastava ripeterlo un paio di volte per farlo andare letteralmente a ruba in brevissimo tempo. 

Per carnevale poi non mancava mai la "sausìzza" che veniva quasi sempre preparata in casa: questa era mansione esclusiva delle mamme, nonne e zie che, in maniera festosa, invitavano le adolescenti della famiglia a seguirne le varie fasi per insegnare loro la tecnica e il "rito" della preparazione. Ciò era possibile perché, assieme alla polpa di maiale, venivano fornite anche " 'i ussìchi": una volta macinata e condita con sale e "cimìnu" la carne doveva essere mescolata ed insaccata nei budellini, bucati poi qua e là per favorire la fuoriuscita dell'aria.

Terminata questa complessa e piacevole operazione, la salsiccia era pronta: dopo aver messo da parte quella da consumare fresca, l'altra veniva appesa in un angolo ventilato "ro tèttu muòrtu" o " ra cucìna", dove il fumo "re furnacèlli" ne avrebbe accelerato e favorito l'essiccazione.

Bisogna anche aggiungere che nel periodo pasquale aumentava la richiesta di carne d'agnello, anche allora - come oggi - alla base del pranzo festivo che riuniva attorno allo stesso tavolo parenti ed amici.

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Il consumo della carne oggi

Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale cresceva a dismisura il desiderio di rifarsi dalle restrizioni e dai patimenti subiti: migliorarono anzitutto le condizioni di vita e, a partire dal 1944, ci fu proprio un salto di qualità, grazie all'afflusso regolare delle rimesse degli emigrati d'America, i cui riflessi ambientali furono quasi immediati. Ne risentirono di conseguenza i consumi alimentari, totalmente cambiati a causa della guerra, mentre i macellai seppero far fronte alla maggiore richiesta di carne con approvvigionamenti più frequenti e con l'apertura quotidiana delle loro botteghe. 

E non solo: altri locali furono inaugurati in centro e in periferia, ampi ed accoglienti, mentre quasi tutti i supermercati sorti a Pozzallo in questi ultimi anni, nei loro moderni reparti di macelleria, presentano carni varie e scelte - dal filetto all'ossobuco, dalla bistecca al girello, dal fegato alla trippa e alla "favùzza" - apprezzate da tutti, uomini e donne. Da queste ultime specialmente, che hanno dimostrato sempre più di saperci fare, dedicandosi di persona ad acquisti che prima erano di esclusiva incombenza maschile.

In un certo senso si è creato così, con una maggiore richiesta di carne, il giusto equilibrio fra carne e pesce, anche se quest'ultimo continua a restare al primo posto nelle preferenze di gente che, da generazioni è sempre vissuta a contatto col mare.

 

Testo tratto dal libro di Luigi Rogasi - "Pozzallo. Echi del passato e voci del presente" - Firenze 1990.

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