La vendita del pesce


I primi pescatori
Essendo Pozzallo considerata da sempre "patria" del pesce, è quasi d'obbligo cominciare proprio dal pesce che i nostri antenati vendevano ancora profumato di mare: freschissimo, dal pescatore al consumatore, senza intermediari.
Della sua vendita si occupavano direttamente gli stessi pescatori, le loro mogli e i loro figli: andavano di porta in porta, cominciando dai vicini di casa ed offrendolo a poco prezzo in ciotole di vario genere o infilzato a collana in un pezzo di spago. Il più delle volte veniva pesato "a mùzzu" ma bisogna dire che la quantità si approssimava, quasi sempre, al "ruòtulu", unità di peso in uso nel Modicano.
E' proprio così che è iniziato il commercio del pesce: tuttavia, col passare del tempo, non appena si resero conto che la pesca poteva essere la loro fonte di giadagno e la loro professione abituale, i pescatori cercarono di organizzarsi meglio e cominciarono a vendere tutto il pescato ai "pisciari", gestori in proprio di "putìe", aperte però soltanto per poche ore, dal primo pomeriggio all'imbrunire.
I "cavaddàri" e le prime "pescherie"
Da noi ed in altre parti della Sicilia, i "pisciari" venivano chiamati anche "cavaddàri", denominazione per lo meno strana, visto che tra pesce e cavallo non esiste certamente affinità alcuna, tanto meno lessicale. Ma il motivo c'era ed era ben preciso: per aumentare la loro clientela,, i pescivendoli, avevano infatti allargato il loro raggio di azione, raggiungendo spesso le case di campagna e le masserie. E lo facevano per mezzo di cavalli o muli sui quali erano sistemate, a mo' di bisaccia, delle "cruvedde" piene di ogni tipo di pesce: da qui, probabilmente, ha origine il termine "cavaddàru", caduto in disuso solo nel dopoguerra.
I "cavaddàari" battevano tutto il circondario, offrendo a buon prezzo i prodotti del nostro mare: arrivavano fino a Modica, Spaccaforno, Rosolini e campagne limitrofe, dando così un notevole contributo a far conoscere la bontà del pesce "ro Puzzàddu". Certo, chi transitava dalle nostre parti, non poteva rientrare al suo paese senza aver fatto una capatina al "ponte", per comprare triglie, merluzzi, seppie o altro, come del resto avviene ancora oggi: sarebbe stato considerato un vero peccato.
Nel pomeriggio poi, quando le "paranze" rientravano a riva, alla Balàta o all'inizio della spiaggia di Pietre Nere, le voci dei banditori animavano sempre più le vie del paese, vantando la qualità del pesce appena pescato, mentre i "picciuòtti" dei cavallari si affrettavano a consegnare a domicilio quello prenotato anzitempo.
Il pesce azzurro
Logicamente, il pesce azzurro - sarde, acciughe, sgombri, ecc. - abbondava nella mensa dei più: l'"altro" pesce, molto apprezzato per la sua varietà e per la diversità dei sapori, solleticava invece le preferenze dei buongustai che, fra l'altro, lo sceglievano soprattutto per onorare la presenza dei loro ospiti.
Nel periodo invernale grande era il consumo delle acciughe e delle sarde "salate", alla cui preparazione provvedevano - d'estate - non solo i pescivendoli ma anche le famiglie, che utilizzavano dei piccoli recipienti di coccio, fabbricati proprio a Pozzallo, nel "borgo" antico fra la Sènia, i "ponti" e la Chiesa di Porto Salvo.
Da notare che le acciughe mantengono ancora oggi un doppio appellativo, retaggio dei tempi che furono: "masculìnu" e "angiuòvi", da "anchois", francesismo che resiste tutt'ora, a ricordo della dominazione normanna in Sicilia.
" 'A tunnìna salata", " 'u baccalà" e " 'u piscistuòccu"
" 'A tunnina salata" veniva venduta da ambulanti provenienti per lo più dalla vicina Marzamemi (frazione di Pachino), dove da tempo aveva attecchito l'indistria per la salagione del pesce, anche se in molte famiglie vi si provvedeva direttamente, secondo i canoni tramandati da generazioni.
Gli anziani ricordano ancora che per dissalarla veniva usata una tecnica tutta particolare. Dopo averla tenuta prima a bagno e avvolta poi strettamente in un pezzo di stoffa, veniva infine incuneata fra i cardini di una porta: lo sforzo per chiuderla, facendo da morsetto, le faceva perdere acqua e sale, rendendola così senz'altro più accetta al palato dei buongustai.
" 'A tunnina salata" veniva venduta anche da privati che, al loro commercio abusivo, aggiungevano la vendita "ro baccalà" e "ro piscistuoccu", già bagnati o secchi, da conservare per l'inverno.
I "rizzi ri mari", " 'a simenta re viermi" e i "cuòzzili"
I "rizzi ri mari" erano invece il passatempo estivo dei ragazzi: quasi per divertimento, riuscivano infatti a colmare dei panieri che, in cambio di pochi spiccioli, venivano poi offerti ai vicini o ai forestieri in vacanza.
Lo stesso valeva per la "simenta re viermi", un'alga molto tenera, dal sapore salmastro ma gradevole, dai germogli brevi e ramificati, che cresce a fior d'acqua sugli scogli: secondo un'antica credenza, condita ad insalata, veniva fatta mangiare di buon mattino ai bambini, essendo considerata un vero antidoto contro la verminazione, molto fastidiosa specialmente nella prima infanzia.
Si trattava certo di una cura empririca, di cui oggi è rimasto soltanto il ricordo. Il suo termine scientifico, "Corallina officinalis", ci riporta comunque alla sua utilizzazione in medicina per curare appunto questo disturbo: una volta asciugata, l'erba in questione veniva infatti torrefatta e polverizzata, mentre le nostre nonne - è superfluo dirlo - la usavano fresca, quando si sentiva ancora il sapore e il profumo dell'acqua marina.
Per i "cuozzili ri mari" i cercatori venivano più o meno da fuori: arrivavano armati d'una particolare rete metallica - " 'u cuzzularu" - con la quale aravano la sabbia proprio a pochi metri dalla battigia, fra Pietre Nere e Santa Maria del Focallo, zone ricchissime di questa specie di molluschi bivalvi. Una volta fatto il pieno, ne facevano commercio nei centri dove maggiore era la richiesta.
Ma, cercare "cuòzzili", è ancora un rilassante passatempo di tanti bagnanti che, non sapendo nuotare o non avendone voglia, se ne stanno sdraiati in acqua, con le mani intente a filtrare la sabbia, nella speranza di trovarsi fra le dita vongole e telline, riuscendo anche a riempire dei secchielli di mare e a portare a casa quel tanto sufficiente a condire un bel piatto di spaghetti.
La vendita del pesce nell'immediato dopoguerra
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la veloce trasformazione delle barche a vela in barche a motore aveva reso la pesca più facile e più abbondante: il consumo ittico era aumentato molto e la pesca era tale da poter far fronte, senza problemi, alla pressante richiesta che arrivava da tutto il circondario e dai vari capoluoghi.
Del resto, dopo il forzato fermo biologico - dovuto al periodo bellico - anche il mare era diventato più pescoso mentre il "pontile" della Torre diventava ben presto il centro di sbarco e di smistamento di tutto il pescato: centinaia di curiosi ne seguivano le fasi con interesse e con espressioni di meraviglia e di sorpresa dinanzi alla varietà di pesce scaricata dai "caìcchi" che facevano la spola tra i pescherecci alla fonda e il pontile.
" A calàti o ponti!"
Era il periodo in cui un noto banditore cittadino, dalla figura caratteristica, spostandosi continuamente da un crocìcchio all'altro, col suo possente "a calati o ponti!" esortava la popolazione a comprare il pesce, nel senso di: "venite, scendete al pontile!". "sbrigatevi!", "fate presto!", "non perdete tempo!" perchè soltanto così avrebbero avuto la possibilità di trovarlo ancora vivo e guizzante.
Il suo ricordo è ancora nella memoria di molti, come la sua voce che, perdendosi in lontananza, raggiungeva i quartieri più distanti. Ed elencava: "trigghi, trigghiozza e mirruzzi", "purpi, sicci e capputtedda", "palummieddu, raja, faciani e lumeri", "tunnu e piscispata", "piscatrici, pisci pi bruoru e pisci ri sacunna", "àmmiri e muccu", "angiuovi, sardi e sgummi", ricominciando daccàpo, rimescolando l'elenco e aggiungendone altri. Concludeva poi con una frase che era diventata ormai celebre: "Mangia, puòpulu, c'a' patùtu!", facendo cioè un preciso invito alla gente: "Mangia, popolo, non farti mancare niente, visto che hai patito tutte le privazioni della guerra!".
Era una voce dal timbro caratteristico, riconoscibile a distanza: ed a volte, anche se le parole non arrivavano chiare, la gente capiva lo steso che era ora di andare a comprare il pesce. Ascoltandola, gli uomini di casa ne accoglievono l'invito e "scendevano" subito al ponte dove trovavano tanta gente e tanta vivacità, facendosi avanti a gomitate per avvicinarsi ai banchi di vendita, sistemati quasi sempre all'aperto e gestiti da famiglie che da generazioni se ne tramandavano l'attività.
In "coda", sotto la minaccia delle armi
Ma, nell'estate del 1943, l'afflusso di gente fu addirittura tale che l'Autorità Militare di occupazione fu costretta a prendere provvedimenti drastici per evitare che la "ressa" creasse confusione e degenerasse in vero caos: ecco allora che alcuni soldati, con le armi in pugno, sparando a volte qualche colpo in aria, costrinsero i più riottosi a rispettare ordinatamente la "fila", alla quale non erano affatto abituati.
La minaccia dei mitra fece sì che tutti - sebbene impazienti ed irrequieti - senza scalpitare, aspettassero in coda il loro turno. E la situazione in effetti migliorò abbastanza anche perchè, nello stesso periodo, il Comune autorizzò l'apertura di alcuni "punti vendita" in altre zone, favorendone così la normalizzazione, senza più l'incubo del controllo militare: non ultimo il timore di incidenti che potevano essere causati da gesti inconsulti da entrambe le parti.
Le pescherie oggi
Oggi la situazione è ben diversa. Nei decenni più vicini a noi sono state infatti aperte altre pescherie, dove è possibile trovare sempre pesce fresco: di pomeriggio arriva immancabilmente "quello" dei pescherecci mentre, di mattina, è facile trovare quello ancor più vivo, pescato proprio all'alba - o durante la notte - dalle "barchette" padronali che di solito gettano le reti lungo la costa che va da Santa Maria del Focallo al Maganuco.
Certo, a pensarci bene, tutto non è come prima, perché si nota subito la mancanza delle famose "paranze" che avevano tanto contribuito a creare il mito del pesce di casa nostra. Pur tuttavia, anche se nello smistamento del pescato le regole oggi sono cambiate, Pozzallo continua ancora, e sempre più, ad offrire il meglio ad una clientela esigente che arriva soprattutto dai paesi vicini, richiamata da una fama che non conosce tramonti improvvisi, mai velata da preferenze verso altri lidi. Perché il pesce, da noi, ha quasi un marchio di qualità, apprezzato da tutti e da tutti gradito.
Testo tratto dal libro di Luigi Rogasi - "Pozzallo. Echi del passato e voci del presente" - Firenze 1990.
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