La vendita della verdura e della frutta


Gli ortolani "ambulanti"
Gli ortolani "ambulanti" hanno sempre avuto un'antica e costante presenza quotidiana nella vita del nostro paese. questo in ogni ora del giorno, in qualsiasi stagione e in tutte le vie: privilegiando infatti i quartieri più popolosi, spingendo a fatica carretti e carrettini - trainati avvolte da mulli e somari - "vantavano" la qualità della loro merce con espressioni talmente vivaci e colorite da richiamare subito l'attenzione della gente. Più o meno ocme avviene oggi, perchè la maniera di vendere i prodotti dei nostri orti non è cambiata affatto, come non sono cambiati i termini di paragone usati dagli ambulanti per esaltare la bontà della loro merce.
Ogni stagione ha le sue derrate e per reclamizzarle si scomodano similitudini e complementi, cercando mille sfumature per ottenere l'effetto desiderato. Infatti, i "mulùna" sono "a prova", "rùssi comu o fuòcu" ed hanno "culùri e sapùri" mentre "i mulùna 'i ciàuru" sono "arùci comu 'o zùccuru": "arùci" sono però anche " 'i favi virdi" e " 'a pisèlla" ma "comu 'o mèli". "L'àcci" invece sono "tènniri" e " 'u palemmitànu" è "trunzùtu". In compenso, " 'i finuòcci" sono "ri Siraùsa", come per dire: "sono i migliori, senza confronti".
E poi: "càuli, ciuriètti e scamazzatùra", "pummaròru ppì sàssa e ppì 'nsalàta", "cutùgna ppì mammillàta", "citròla, tinnirùma e cucuzzèdda lògna", "pùma, pìra, pìra zuccarìni, pìra putìra e pìra fichitièddi, "fìcu nìuri e fìcu jànchi", "prùna e pièssichi, caracòpa e ghiràsa". Ed ancora, come in una litanìa infinita: "nìvia, lattùca, àgghi e cipùddi", "sbièzzi còmu 'e cannàti", "milinciàni e sanàpu", cacuòccili e kakì", "arànci, partuàlli e mannàrini", "lumièi e pirètta, "nièspuli e nièspuli giappunìsi", "milicùcchi e ficumòri", continuando con "cièusi jànchi e nìuri", e ancora: " 'nzalòri", "murtìdda", " a patàta 'i Nàpuli" e " 'a banàna", "i patàcchi", senza dimenticare tuttavia i ramoscelli di "cìciri virdi" che i bambini preferivano non per il seme da mangiare ma per il piacere di far "scoppiare" i baccelli "vuòti".
Non si finirebbe mai di elencarle ad una ad una, tutte espressioni pronte a rendere l'idea e a dare significato e valore al prodotto da vendere, come se la qualità fosse esclusiva prerogativa del venditore, capace di esaltarne in maniera colorita qualità, sapore e prezzo.
Gli ambulanti "stagionali"
In autunno " 'a castàgna arrustùta" e " 'a pastìgghia", assieme ai "passùluna", " 'a mammìllata" e " 'o panicuttì", "nùci e nucìddi", trovavano e trovano ancora posto fra i "regali" che i bambini ricevono per la Festa dei Morti.
" 'A càlia", " 'i calacàusi" e " 'a simènta" venivano venduti invece da altri ambulanti, chiamati "siminzàri": spingendo anche loro dei carrettini o tenendo le bisacce di juta appese alle spalle, giravano in lungo e in largo il paese, fermandosi nei luoghi più frequentati dai bambini, specialmente la domenica, per le feste o durante le processioni religiose.
La vendita "rà luppìnedda arùci", "rè fàvi caliàti" e "rè fàvi pisciàti" era di solito fatta di pomeriggio anche se il loro acquisto era destinato al dopo cena, al momento delle quattro chiacchere in famiglia, quando si giocava a carte o quando, prima di metterli a dormire, si raccontava ai più piccoli l'ultimo "cuntu" della giornata.
All'inizio dell'estate passavano invece dei contadini - quasi sempre anziani - che vendevano " 'a rìcinu" a mazzetti, già secco, con infiorescenze o foglioline pronte da sbriciolare: spesso l'offrivano assieme ai "ciapparèddi ri tìmpa" - di cui si fa in genere la provvista per l'inverno - misurati però "ccò cuòppu", tutt'ora in uso nelle campagne del modicano.
" 'U basilicò" e " 'u putrisìnu" erano invece produzione casalinga perché venivano coltivati nelle "ràste" di cui le case erano piene, tenute in genere nelle terrazzine o nei cortiletti interni: " 'addàuru", invece, necessario per arrosti o decotti, veniva per lo più fornito dalla gente di campagna, la stessa che, verso febbraio-marzo, offriva ad amici e parenti dei ramoscelli di "mandorle verdi", come segno augurale per la primavera in arrivo. Il più delle volte, a questa usanza provvedevano però direttamente i ragazzi che, in comitiva, si recavano nelle campagne vicine per una gioiosa scorpacciata, anche se in effetti si trattava di una vera e propria "razzìa" del frutto acerbo, del quale erano molto ghiotti.
Le prime "putìe", le nuove botteghe e i supermercati
Subito dopo la guerra, pur aprendo le loro prime "putìe", gli ortolani non si sono lasciati prendere dalle novità ed alcuni di loro hanno continuato lo stesso il lavoro "ambulante" che consentiva indubbiamente rapporti più immediati con la clientela, abituata da sempre a comprare tutto davanti alla porta di casa.
Certo, le botteghe di un tempo sono state anch'esse travolte dal correre dei tempi e dalla veloce trasformazione dell'aspetto del paese: in centro ed in periferia spuntano allora nuovi locali, sempre più accorsati da gente alla ricerca di prodotti freschi e genuini, capaci comunque di offrire una scelta quanto mai varia, tale da accontentare perfino la clientela più esigente.
E non basta: oggi troviamo reparti di frutta e verdura anche nei supermercati, sempre più numerosi e ben distribuiti nel tessuto urbano. Sono frequentati da una clientela che sa apprezzare moltissimo la comodità di trovare la merce desiderata in un negozio "unico", moderno ed accogliente, sempre più consapevole soprattutto di avere la possibilità di poter scegliere fra mille prodotti, offerti a prezzi convenienti.
Testo tratto dal libro di Luigi Rogasi - "Pozzallo. Echi del passato e voci del presente" - Firenze 1990.
Il presente a cui fa riferimento il testo è per forza di cose diverso dal nostro presente, per cui qualsiasi nuovo spunto dei lettori che ponga attenzione sulla differenza tra le tre epoche è ben accetto. Commenti, opinioni, ricordi inerenti a quanto scritto possono essere espressi tramite la nostra pagina Facebook. https://www.facebook.com/vivipozzallo